SALVATORE PROVINO l’Oltre Galleria Atlante Roma
COMUNICATO STAMPA → Si inaugura a Roma, curata da Francesco Ruggiero, Venerdì 13 Maggio 2022 alle ore 18 nella Galleria Atlante di Via Volsinio 21 la Mostra personale di Salvatore Provino dal titolo l’Oltre. Dopo un ventennio di assenza, in esposizione Opere di grande impianto realizzate dal 2000 ad oggi. Inaugura Salvina Maesano con l’esecuzione di Arie d’Opera. La Mostra rimarrà aperta tutti i giorni, esclusi i festivi, 10|12 – 16|20. L’ingresso è libero nel rispetto delle condizioni di sicurezza indicate dalle vigenti Norme antiCovid. L’evento prevede per l’occasione una articolata programmazione, denominata i Venerdì d’Arte. Un palinsesto di iniziative ed eventi culturali aggiornati puntualmente attraverso il Portale federazioneartisti.it. Venerdì 3 Giugno 2022 alle ore 18.30 è stata proiettata la monografilm l’Oltre di Salvatore Provino nella Sala Cinema di S.c.e.n.a. in Via degli Orti d’Alibert 1 a Roma, realizzato con la regia di Margot Ruggiero e presentato da Marco Bussagli, Francesco Ruggiero, Javier, e Fulvio Benelli. Sarà presente l’Artista. A seguire, Sabato 4 Giugno dalle ore 16.00 sempre a Roma nella Galleria Atlante, in occasione del suo Compleanno, si è svolta una serata di Poesie composte e recitate da Fulvio Benelli e Mario Lugliolini dal titolo Edito/Inedito e a seguire il Concerto di Maryam Bakhtiari con il Daf, strumento particolarissimo, grande tamburo a cornice del Medio Oriente utilizzato nell’esecuzione di Musica classica e popolare, che nella Storia della Letteratura mistica iraniana è avvolto da un’aura di leggende simboliche e spirituali tanto che il cerchio del Daf viene considerato simbolo della vita.
… Tra la rappresentazione di un soggetto e la costruzione di un oggetto pittorico dotato di assoluta autonomia, Provino ha scelto da tempo … afferma Paolo Portoghesi … una strada intermedia che lo apparenta ad Artisti di epoche e tendenze diverse: la strada di fissare le tracce di un evento, lasciando all’osservatore il compito di ricostruirlo o di ignorarlo a seconda che si accontenti o no di verificare la raggiunta qualità della tecnica e della materia pittorica. Così facendo, dedicandosi alle impronte lasciate da ciò che è stato su una materia sensibile, che è anzitutto la tela, ma che è in seconda istanza la memoria dell’Artista e la capacità fantastica dell’osservatore, Provino esplora il rapporto tra l’essere e il nulla, tra l’esserci stato di un corpo o di un evento e il non esserci più, se non attraverso le tracce, gli indizi, le orme negative che potrebbero consentirci di rievocare, o forse addirittura di ripossedere, ciò che è assente. Leonardo, da quell’insuperabile osservatore del mondo visibile che è stato, ci ha lasciato sul problema dell’essere nulla, riflessioni illuminanti che ci aiutano a capire la condizione in cui Salvatore Provino si pone in questa dialettica tra il visibile e l’invisibile. Quello che è detto niente … scrive Leonardo … si ritrova solo nel tempo e nelle parole: nel tempo si ritrova infra ‘l preterito e ‘l futuro e nulla ritiene del presente: e così, che non sono o che sono impossibili. La sparizione dell’immagine che ha impressionato la nostra retina, precede il formarsi dell’immagine mnemonica: tra questi due momenti della percezione, si insinua l’essere del nulla, una sorta di buco nero astronomico, di intervallo vuoto, di pausa, che appartiene soltanto alla nostra mente. Ciò che interessa Provino, però, non è la tabula rasa, il non essere; ma ciò che viene prima e dopo: il momento della sparizione e il ritorno dell’immagine nella forma del ricordo. Per questo le sue figurazioni emergono da un’ombra che si rompe, da uno sfondo che si illumina e non sono mai descrizioni, ma aure, che avendo avvolto un oggetto, sono in grado di suggerirlo senza perdere la loro trasparenza, la loro avvolgente concavità. Così Provino può lavorare con lo spazio senza adoperare il volume, può intrecciare cavità senza disegnare dei corpi. Lo spazio interno diventa, come per l’Architettura organica, il dato essenziale del comporre la sua condizione d’essere. … È come chiuder gli occhi, anzi, stringerli forte con le mani … descrive Paolo Rizzi. … Appaiono, dal buio, i fosfeni: cioè le ferite di una luce diventata nostalgia del vedere. Forme che si muovono in modo larvale; apparizioni cangianti, fragilissime eppur prepotenti. Che anche la Pittura, per giungere al meraviglioso, debba partire dal buio? Salvatore Provino dice appunto lo parto dal buio completo. Poi, lentamente, inizio a vedere. Ma cos’è, mi chiedo, quel vedere? È quasi un vedere di più, cioè oltre l’ingombro fisico degli oggetti, aldilà della loro apparenza. Che sia questo il segreto dell’Arte? Rivedo il lungo percorso pittorico di Provino e noto come una sua costante sia sempre stata, quella di far nascere le immagini dalla notte. Dal fondo scuro sorgono e guizzano filamenti nervosi, intrichi, improvvisi lampi di luce, una materia screziata e luminescente, grumi, crepe, vibrazioni molecolari, quasi un magma che tenta disperatamente di dipanarsi. Le Opere di Salvatore Provino svelano un groviglio segnico di più significante pregnanza, appunto la ricerca del nucleo nascosto della Psiche. Questo passaggio dal bello al vero, plausibile dal punto di vista di una filosofia neoplatonica. Lo è ancor più proprio dall’angolazione biologica in cui è ora calata la Pittura. All’alba del nuovo millennio la prospettiva è questa: Pittura come rappresentazione del fondo organico dell’uomo. In tal modo i quadri di Provino scavalcano la contingenza temporale. Sono schegge, lacerti, brani di una radiografia dell’inconscio che, questa sì, è d’una attualità persino spasmodica. Abbiamo assistito, lungo un intero secolo, al prevalere delle più disparate proposte linguistiche. Ora è tempo di chiudere davvero gli occhi: per riaprirli in una prospettiva cognitiva più che estetica. Guardo la Pittura di Provino e scopro come io sono fatto, dal di dentro.
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HO VISTO LE MENTI MIGLIORI DELLA MIA GENERAZIONE di Salvatore Provino da Colophon Rassegna Internazionale di Arti e Lettere
Per me, le sollecitazioni, le risorse, ma anche i condizionamenti e gli obblighi di una tradizione locale, per nobile che possa essere, hanno contato sempre assai poco. Quando sento parlare di sicilitudine e simili, non mi viene in mente nulla di preciso, almeno per quanto riguarda la pittura e la scultura, vale a dire le arti con cui ho dimestichezza. Ma, anche se mi rendo conto che categorie del genere possono essere valide in ambiti della creatività e della cultura diversi da quello in cui opero, mi sembrano ugualmente mistificazioni che circolano nel corpo in sovrappeso della cultura italiana, che non mi hanno mai appassionato e meno ancora, interessato e di cui, a ogni buon conto, non è necessario avere una grande opinione, anche se vi si accordasse un qualche credito, perché, per dirla in parole povere, l’etichetta conta o dovrebbe contare meno del prodotto. E mi sembra evidente che la nozione, piuttosto nebulosa, di sicilitudine sia nulla più di una specie di marchio di autenticità che non è depositato altrove che nelle menti di chi lo adopera -malissimo se lo incolla sulla pelle altrui, fosse anche per salvare la propria. Il fatto d’essere siciliano, in quanto pittore, non ha mai contato più di tanto, per me. Non per presunzione, per puntiglio o capriccio, di cui sono capacissimo, ma perché ritengo che nessuna forma di specificità o continuità di scuola, nessuna esperienza o patrimonio culturale che non sia un deposito inerte possa prestarsi a un equivoco del genere. Quello che dico per la Sicilia, vale anche, a maggior ragione per Roma, la città in cui ho vissuto e vivo. Le esperienze che ho attraversato non mi hanno costretto dentro un cliché cittadino, per quanto Roma sia una città speciale, unica. Semmai, vivere in uno dei principali centri di irradiazione della cultura e dell’arte, non solo del nostro Paese, mi ha abituato a considerare in maniera meno chiusa il problema, che ammette soluzioni a più incognite, dell’identità artistica. Per questo motivo, i siciliani a Roma, almeno per quello che mi consta, non abbiamo mai “fatto gruppo”, mai costituito una colonia o un clan. Avevamo voglia di integrarci, di essere parte di quel mondo che ci entusiasmava e semmai, contavano di più i legami generazionali, ma solo fino a un certo punto, anch’essi. Le scelte ideologiche stabilivano o consolidavano legami già costituiti, ma, con tutta la passione che mettevamo nell’impegno, esso funzionava più come una specie di criterio di qualificazione, di approssimativo sorteggio, perché non tutto è rimesso alla nostra volontà nemmeno nella scelta di amicizie, colleganze, simpatie. E comunque, anche l’ideologia era un modo per dare una sanzione politico-sociale a scelte o tendenze artistiche già compiute e di cui prendevamo coscienza così. A Roma, arrivai molto giovane da Bagheria, dove avevo lasciato la famiglia. Non potevo immaginarmi altrove che in una grande città come Roma. Grazie all’interessamento di Guttuso, trovai lavoro come fattorino a La Nuova Pesa di Alvaro Marchini. La galleria era frequentata dal bel mondo intellettuale del periodo, scrittori, registi, attori, attrici, cantanti e calciatori, politici, donne bellissime. Ricordo di avervi incontrato e conosciuto Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Enzo Siciliano, Dacia Maraini. Giovanna Ralli, Anna Magnani. Valerio Zurlini. La mia vita trascorreva fra Piazza del Popolo e Piazza di Spagna, come dentro un set di cui ero spettatore, uno spettatore molto attento e interessato, manco a dirlo. In questo periodo, ricevetti lezioni, estemporanee, beninteso, ma utilissime, dagli artisti che esponevano o frequentavano la galleria, a cominciare dai docenti di Scultura dell’Accademia, da Monteleone a Pericle Fazzini; e lezioni di pittura, elargitemi dagli artisti de «La Nuova Pesa», come Cagli e Mirko, oltre allo stesso Guttuso, di cui frequentavo assiduamente lo studio. In qualche occasione, ricordo, fu De Chirico a darmi, con i suoi modi schivi, quasi bruschi, l’imbeccata, che, il più delle volte, era un giudizio, cui bastava un cenno, una battuta. Poi, c’erano gli artisti della generazione che precedeva di un turno o due la mia, come Vespignani e Attardi. Erano insegnanti per come potevano esserlo con un ragazzo ansioso e intimidito artisti affermati e maestri riconosciuti: molto presi dal proprio lavoro e anche un po’ ombrosi. Tutti, meno Attardi, che si mostrò comprensivo e generoso, con me, l’unico a non essere diffidente. Credo avesse colto senza fastidio la mia voglia di apprendere, cioè non mi riteneva un postulante che scambiava l’interesse per l’aspetto tecnico, per la perizia, per la disciplina di energie e gesti con l’illusione di chi sperava di emulare rapidamente, con un corso accelerato di studi e esercizi arraffazzonati il miraggio di una grandezza delle cui unità di misura non c’è mai garanzia. Più tardi, si mostrerà comprensivo e diventerà per me un prezioso punto di riferimento in una fase cruciale della mia esperienza artistica, Cagli, persona di rara sensibilità, oltre che artista di classe e talento innati. Non potrò mai dimenticare ciò che ha rappresentato per me la sua amicizia, quando, un po’ per mia scelta, ma anche e non poco, per la volubilità di altri, attraversai un periodo di difficoltà, lasciato da solo, emarginato o comunque, ‘congelato’ da critici e colleghi. Non che sia capitato solo a me, ma pochi, credo, nel mio ambiente, hanno avuto la fortuna, in questi frangenti, di contare sul sostegno di un artista del livello di Cagli. La Nuova Pesa, naturalmente, con le opportunità che mi aveva offerto, rimase nel mio cuore e quando, nel ’73, tenni lì una mostra – avevo esordito alla galleria Consorti, in via Margutta, nel ’64 -, come è comprensibile, piansi per la commozione. Il garzone che montava e smontava le mostre altrui, impacchettava quadri, dormiva nel retrobottega, in mezzo a opere di sogno che, quasi, lo dispensano dal sognare, era diventato uno degli artisti che venivano a esporre. All’inizio, comunque, non è che me la passassi benissimo, ma non mi potevo lamentare, fra stipendio e mance e piccole regalìe. Specie se pensavo che Bagheria non aveva nulla di nulla da offrire a un giovane ‘votato all’arte’ come me. Potevo permettermi pranzi e cene, c’era una trattoria, accanto alla galleria, dove si mangiava davvero bene spendendo relativamente poco. Il mio alloggio era nella quadreria e cosi, come ho detto, io dormivo in mezzo alle opere di tutti quei maestri che ‘bombardavano’ il mio inconscio, ipnotizzato da quelle tele che una parte l’hanno avuta, almeno a livello onirico, una parte importante, trasmettendomi una dimensione di sogno e di magia. Intanto, tenevo contatti con quelli della mia generazione e cercavo di capire ogni loro conquista, di registrare ogni novità, di recepire ciò che era nell’aria e filtrava sottopelle, senza bisogno di troppi discorsi, le cose che vedevamo, che facevamo o sentivamo di dover fare parlavano per noi; poi, non si poteva essere del tutto coscienti di un mondo che ti veniva addosso a quella velocità. E se guardiamo alle svolte e agli sviluppi di tanti, me per primo, s’intende… Guccione, per esempio. Che, fra l’altro, essendo un bel ragazzo, era continuamente coccolato. conteso e vezzeggiato dalle donne, senza distinzione di ceto e di censo. Del Guccione degli esordi ricordo, in particolare, i dipinti della fase ‘baconiana’. Anzi, non potrò dimenticare proprio il ritratto che Guccione fece di Francis Bacon, un ritratto riprodotto come manifesto di una delle sue prime mostre o forse, proprio della prima mostra di Guccione, se ricordo bene, tenuta a La Nuova Pesa» nel 1964. Finora, ho parlato degli artisti che gravitavano intorno a La Nuova Pesa. Avevano in comune la tradizione italiana, classica, fortemente connotata in senso figurativo, plastico, in cui erano decisivi il disegno, le variazioni prospettiche risolte nella centralità delle figure e dell’azione rispetto al contesto spaziale, naturale e ideale da cui scaturivano; ma il panorama di quegli anni registrava inquietudini nuove, i fermenti della Pop-Art che giungevano da oltreoceano anche da noi. Il ruolo di banditore, da noi, se lo era assunto la galleria Marlborough, in cui esponevano gli astrattisti come Afro, Dorazio, Fontana, Moore e i cui (im) portatori e campioni divennero, in breve tempo, Schifano, Angeli. Tano Festa, teste d’ariete del nuovo fenomeno artistico. Poi, c’erano le teste d’uovo dell’Arte americana in Italia, coloro che propagandavano, divulgavano, promuovevano il modernismo (come lo chiamammo noialtri, con ciò negandogli ogni originalità, denunciandone il carattere artificiale, subalterno, riflesso), teorizzandolo prima che divenisse pratica usuale e non sporadica e poi (ma senza dover aspettare troppo) moda e prodotto di consumo (come voleva essere), vale a dire, Filiberto Memma e Achille Bonito Oliva, che aveva vinto una di studio, o qualcosa del genere che lo aveva portato a vivere e studiare per due anni in America. Tornò con dentro il bagagliaio Andy Warhol e la Pop Art … E una sfilza di paroloni ripresi dalla critica d’Oltreoceano. Ma per spiegarci cosa? Che il credito di cui gode un artista o una singola opera – cioè, in soldoni, la pubblicità -, è, come avviene per ogni merce, parte integrante del valore intrinseco dell’arte, santa miserabile? E com’è che si finisce cosi, a insegnare queste cose? Presto detto. Cosa pensate si possa farne, di parole nuove di zecca per lavori in serie da catena di montaggio e smontaggio, qualcosa che poteva diventare un nuovo stile, un nuovo modo di esprimersi, rispetto a una critica italiana rimasta ferma a un armamentario terminologico ottocentesco … Questo lo capivamo tutti senza che venissero dall’ America a spiegarcelo o altrimenti, senza che l’America lo facesse spiegare da qualcuno appositamente istruito: ma le idee? Ecco, tutte si compendiavano, per quanto ci riguarda va in una sola pretesa: l’idea, per noi inconcepibile, che l’America avesse qualcosa da insegnare a noi in campo artistico! Non dico in altri ambiti, romanzo, cinema o musica; cose che apprezzo molto, ma di cui non so abbastanza per poter fare confronti. Ma la pittura! Fino a prova contraria, gli stranieri, non solo gli Americani, erano venuti a scuola da noi; ecco perché la questione assunse un carattere ideologico, molti di noi erano già di Sinistra, ma quello fu il momento in cui un’arte di Sinistra aveva un significato ben preciso, difendere la grandezza della tradizione italiana, difendere la civiltà, la nostra cultura contro la prevaricazione culturale dell’America, funzionale a un disegno politico di conservazione degli equilibri esistenti nel nostro Paese. In quegli anni, dunque, la galleria Marlborough proponeva Piero Manzoni e gli altri, adepti e neofiti della Pop-Art, Op-, Bop-, ecc … Mentre La Nuova Pesa aveva le sue punte di diamante in Picasso, Lèger, Guttuso, Cagli, Sironi, Scanavino, Francese … E non è che le polemiche restassero a un livello teorico, no; si verifica vano incursioni e spedizioni punitive, anche se, devo precisare, in maniera goliardica, nulla a che fare con lo squadrismo e peggio, che si sarebbe manifestato nel decennio successivo, solo una sorta di ‘spirito competitivo’ molto sentito e che, logicamente sconfinava nel corpo a corpo, ma solo in qualche occasione, con Schifano e Tano Festa e gli altri fautori della Pop Art. Stranamente, Franco Angeli, che solo dopo aderirà alla Pop Art, nei primi anni Sessanta era con noi e esponeva anche lui a La Nuova Pesa e realizzava quadri d’impegno civile. Certo, c’era un clima di guerra ideologica che, di lì a pochi anni, avrebbe assunto toni più esasperati; ma, allora, l’arte avrebbe avuto, in questa degenerazione della polemica – politica e non -, un ruolo sempre più marginale. E anche certi happening, cui partecipai in veste di organizzatore e non solo come ausiliario di truppa, avevano a che fare col protagonismo che presto parve anche a me un po’ fine a se stesso, benché le nostre intenzioni fossero altre. Tanto che solo un coinvolgimento più diretto nelle vicende del Partito poteva salvare le ragioni di un impegno che, diversamente, cominciavano a sfuggirci; e questo, anche a costo di vedere l’arte un po’ strumentalizzata, fatalmente. Era un prezzo che l’arte poteva permettersi di pagare; e oltre tutto, la causa era giusta. Lo dico con convinzione, io sono rimasto uomo di Sinistra, sono per l’uguaglianza e la giustizia sociale. Intanto, nel mondo scoppia il ’68 e noi dell’ambiente artistico ne siamo fortemente coinvolti. Restano memorabili l’occupazione della Quadriennale di Roma della Biennale di Venezia … Ma la contestazione si scontrava con la vischiosità del sistema, come si diceva allora; soprattutto, con l’apparato dell’informazione, che distorceva i fatti, che stravolgeva i discorsi facendone slogan demenziali e trasformando tutto in un riempitivo delle cronache giornalistiche e televisive e in effetti, in intrattenimento mediatico, così dando ragione, fra l’altro, a coloro che facevano l’apologia di tutto questo per derivarne l’estetica che noi combattevamo … Del resto, non rimaneva granché da rivoluzionare e a ogni modo, non eravamo noi le avanguardie della rivoluzione, ma solo ‘compagni di strada’ in cerca di un ruolo, di uno status anche noi, i contestatori globali. Come fu chiaro un po’ alla volta, ci doveva bastare questo titolo. Non era molto. Una specie di autorizzazione a procedere a contestare per conto altrui, retrospettivamente. Ma non una garanzia di successo, qualunque cosa di diverso se ne possa pensare. Ad arricchirsi, eventualmente, grazie alle credenziali di Partito, non è stata quella parte della mia generazione in cui mi riconosco, con la quale ho condiviso scelte e, in una certa misura, vicende e vicissitudini. Alla Quadriennale di Roma andammo, ma per occupare il Palazzo dell’Esposizione. C’erano, fra gli altri, Calabria, Mulas, Ganna, facemmo un putiferio, ma fu piuttosto facile, prendemmo tutti in contropiede. L’edizione della Quadriennale di quell’anno era stata, praticamente, pressoché equamente lottizzata dalla galleria Russo, che puntava su Guzzi, su Miele, Enotrio, Fantuzzi; e dalla Marlborough, con D’Orazio e Afro. Non mancarono i contrasti all’interno del nostro gruppo, dell’ala militante, insomma, dell’arte di quel periodo. Apparentemente, il tema del contrasto era l’opportunità di occupare la Quadriennale, ma c’erano ragioni più profonde, anche se non emerse altrimenti che in quella forma meno traumatica, proiettando all’esterno un dissenso più sotterraneo, come fu chiaro in seguito. Alla Biennale di Venezia, a guidarci furono, superando le compartimentazioni tradizionali dell’arte consacrate dalle accademie, Elio Mercuri, Luigi Nono, Emilio Vedova, disposti a spendere la propria autorità per un rinnovamento reale delle regole ferree invalse nel rapporto fra arte, istituzioni, mercato, critica e pubblico. Tutto, per la verità, cominciò in maniera un po’ fortuita, i metalmeccanici di Mestre e Porto Marghera erano in sciopero, cortei dietro cortei; e noi, per non essere da meno, dato che avevamo ottime ragioni per protestare, facemmo la nostra parte. Sulle prime, gli operai non vollero saperne, di contestare con noi; poi, spinti anche dai dirigenti sindacali e dai responsabili del Partito, gli operai mandarono una rappresentanza di lavoratori a cementare l’unità di lotta fra maestri e maestranze… Ma questo non era importante, allora e ancor meno, oggi. Ciò che conta di gran lunga, molte delle nostre istanze sono state accolte e da quella volta, possiamo dirlo, nel bene e nel male, nulla è stato davvero come prima … O quasi. Se non tutto è come sembrava che avrebbe dovuto essere sulla base delle ‘vittorie’ conseguite dalla mia generazione, è, anche, dovuto al fatto che di quella generazione ci si è dimenticati molto presto, anche alla Biennale. Che ospita habitué, panchinari di lusso e avventizi, destinati all’oblio dopo essersi fatti illudere dalle vetrine di Murano in cui sono stati inscatolati come farfalle stecchite e infilzate per una edizione. Ma nessuno ha pensato di allestire uno spazio per quanti hanno contribuito a novare concezioni e spirito della stessa Biennale, anche solo nella cornice, insidiosa, di una rievocazione, di una rivisitazione storica di opere e artisti che si sono battuti e hanno inciso su quella svolta. E chiaro, come si dice, che rimangono e fanno la storia coloro che imprimono il proprio segno sugli eventi, non quelli che ne sono segnati. Ma l’arte non è una lotteria fra sopravvalutati e sottovalutati e nemmeno possono valere, per essa, le leggi della storia del mondo in cui si manifesta e per contestare le quali essa ci è venuta, al mondo e contro cui lotta, semmai, se non sembra una cosa troppo romantica. E non lo è per niente, specialmente per coloro che non ce l’hanno fatta, malgrado le più incoraggianti premesse. Perdere nell’arte e contemporaneamente, perdere nella storia, due tragedie in una; sarebbe umano risarcire, almeno in parte, tanti che sono stati dimenticati e avrebbero meritato di essere riconosciuti per il valore delle cose che hanno prodotto, in circostanze, spesso, difficili, durissime, ostili. Invece, niente. La pigrizia, in molti casi e in altri, altro, su cui si desidererebbe meno distrazioni e auto-indulgenza, finiscono per riportare tutto sul piano di una mondanità che fa somigliare sempre più la rassegna veneziana a un carnevale fuori porta e fuori stagione. Per tornare a noi, il momento della svolta, per me, giunse nella prima metà degli anni Settanta. Quello che facevo come artista militante era vita di sezione, immergermi nella vita delle cellule del Partito, questo corpo dalla biologia che sembrava geneticamente indistruttibile, questo organismo granitico, dai vertici alla base. C’era la mobilitazione permanente, se non proprio la rivoluzione permanente, rimpiazzata da una lotta che voleva essere continua e molte volte, lo fu; vivevamo nel clima della contestazione globale, nell’eccitazione di un’imminente soluzione dei problemi del mondo e di ciascuno che, però, si faceva aspettare troppo, e propiziavamo l’Avvento ingannando il tempo nel marasma delle assemblee dell’agit-prop, dei dibattiti … Ricordo molto bene gli operai, i cassintegrati, i sottoccupati, i disoccupati, i contadini, che venivano o forse, è meglio dire, si trovavano a passare, per non dire che erano condotti sul posto, in un processo di formazione e indottrinamento che era una sorta di itinerario turistico-iniziatico per le le masse, per i militanti che si dovevano spolpare tutto intero l’osso che gli era imbandito; e quindi, osservavano, annusavano e giustamente. dopo essersi fermati ai padiglioni gastronomici per un piatto di lasagne al forno o tortelli al ragù o una salsicciata, se ne tornavano a casa, pronti a scendere in piazza, a cantare l’Internazionale e a votare. La speranza di piacergli era frustrata, non parliamo di educarli a una sensibilità estetica da cui li dispensava quella ideologica, di cui tutto era propaggine, infatti. ‘Avvicinare l’arte alla masse’ era un programma, non so come qualificarlo, una intenzione possibile, una speranza per cui non era richiesta fede e carità … Ecco, un fatto di distanza, più che altro, fisica da colmare; arte qua, masse là e in mezzo, un bel percorso tematico, una sproporzione, in ogni caso, che rimaneva, irriducibile e riluttante perfino a ogni disciplina di Partito, il che è tutto dire, perché, per dirla tutta, c’era molta disciplina di Partito, anche fuori del Partito, forse più che tutto il resto e di quello che ci sarebbe voluto … Arte e masse … Pensare che potessero costituire i poli di una dialettica storica … L’arte … Come se la storia venisse prima … E l’arte la seguisse, come un segugio o un mastino le peste di re, signori e villani … E già, noi avevamo la coerenza, se può essere un obbligo. Ma i lavoratori, cosa potevano fare? Cosa si voleva che facessero? Venivano, guardavano e quando andava bene, se ne andavano sospirando e scuotendo il capo. È certo che io, da un confronto così fondamentale, non ho tratto alcun giovamento. Fino a quando … Nel 1973, un anno decisivo rispetto a molte cose, quando, ormai, l’attività, anzi, l’attivismo politico mi assorbiva a tempo pieno, al Flaminio di Roma si tenne la Festa Nazionale dell’Unità, nell’ambito della quale si sarebbe svolta una mostra, cui mi fu chiesto di partecipare realizzando appositamente un’opera. lo scelsi di fare un ritratto di Togliatti. La Commissione esaminatrice delle opere composta, fra gli altri, da Petroselli, Ferrara père, Ugo Vetere, passò a esaminare il bozzetto, di due metri per due, che riscosse il pieno apprezzamento e l’approvazione di tutti. Il giorno prima dell’inaugurazione della mostra, la Commissione al completo passò in rassegna i lavori; e subito, da una quasi impercettibile smorfia di disappunto, da una lieve piega di amarezza e delusione, di dolorosa stupefazione, capisco che qualcosa non va. Io allibisco quanto loro, almeno. Li vedo allontanarsi senza dirmi niente, mentre li guardo scambiare qualche parola; e siccome non riesco ancora a credere a quello che sta accadendo, chiamo uno della Commissione, non ricordo chi. Questo, torna verso di me e di fronte alle mie domande, dice che il ritratto dev’essere immediatamente ritirato, rimosso, asportato e senza tante discussioni. Io mi rifiuto di credere, mi ostino a non capacitarmi che si possa agire così, che si mandino all’aria settimane di lavoro, un lavoro cui mi ero dedicato, vorrei dire, senza risparmio, con un fervore e una cura che raramente avevo messo in precedenti opere, con la devozione e la convinzione di un eletto, chiamato a fare una cosa importante non solo per me stesso, che ne ero l’autore, ma per tutti, per chi l’arte e per chi, se non altro, capiva, poteva capire con quale passione era stato realizzato il ritratto … Protesto, mi indigno, insisto; finché uno della Commissione, Ferrara, mi dice che il ritratto che avevo eseguito ricorda una foto in cui un gerarca nazista, Goebbels, mi pare, è circondato dai suoi alani, dalmata e dobermann, li accarezza, si mostra tanto umano, con quelle bestie ignare … Non credo di dover dire molte cose sul mio stato d’animo. Mi avevano invitato loro; l’immagine da cui avevo preso spunto l’avevo tratta dal libro su Togliatti pubblicato dagli Editori Riuniti; l’idea di un Migliore lontano dall’immagine di uomo di Stato e di Partito l’avevano avuta loro. Perché scaricavano tutto su di me? E perché scaricavano me? Forse perché non potevano ancora scaricare Togliatti? E di tradirlo e di tradirsi, offrendolo in comodato a una muta di cani e dando di se stessi l’immagine di una fedeltà canina? Quella epurazione seduta gli pareva stante mi parve emblematica di cos’era il Partito. Nel frattempo, questi dirigenti di grande perizia diplomatica si mettevano a commissionare messaggi trasversali per tesi congressuali da fare recapitare per interposta persona e tirando in ballo uno dei Grandi Defunti, un autodafé col morto, convocato a presiedere il processo a se stesso e trasfigurato in una sorta di Giove pianto dai suoi cani … Come mi aspettavo, ecco che amici e colleghi, nonché compagni, prendono le mie difese, Ennio Calabria, Paolo Ganna, Mulas, ecc … Se non si riammette alla mostra della Festa il quadro di Provino, abbandoneranno. Sta per scatenarsi una clamorosa polemica fra Partito e artisti all’interno della Festa dell’Unità, e per giunta a proposito dell’icona rivisitata del Migliore, icona del Partito dei migliori! E invece … Niente. Ognuno rimase al suo posto. Nessuno mosse un dito per firmare un manifesto di protesta, di dissociazione, di critica garbata. Lettere ai giornali, appelli, mozioni, petizioni per i quali si mobilitavano gli intellettuali che sempre cari furono al Partito, che caldamente ricambiava. Si trattava della libertà del Partito e della libertà dell’arte in seno al Partito, una battaglia da condurre nel nome dell’arte e del Partito, a meno di non pensare che le due cose non andassero insieme e nessuno, certamente, pensava, poteva pensare una cosa del genere. Ma, appunto, inaspettatamente, non accadde nulla, non si parlò nemmeno del caso, né alla Festa, con quello scialo di incontri e conferenze e dibattiti che vi si svolgevano, né altrove. Ognuno degli amici e colleghi, tutti compagni come me, raccolse deferente il sentito omaggio del Partito, che così bene ciascuno di loro contribuiva a illustrare con l’arte e col rispetto che mostrava per i colleghi in arte che il Partito scartava e tutto finì lì. Per me. Da quel momento, mi sono ritirato da ogni impegno politico. Anche se, lo ribadisco, rimango di Sinistra, in nome di una società più equa, più umana, più giusta, abbandonai la militanza e uscii dal Partito e smisi di considerarmi comunista, proprio mentre il Partito sembrava avviato alla conquista del potere. Ma, nonostante le vittorie sempre più straripanti, nonostante la cappa di conformismo pauroso che scese sull’Italia della ‘solidarietà nazionale’ prima e dei governi di ‘unità nazionale’ poi, io non credetti più che il Partito Comunista credesse in quello in cui ci chiedeva di credere. Non ci credevano nemmeno loro; perché dovevano crederci gli altri? Perché, perché … Lasciamo perdere. A ogni modo, io andai incontro all’ostracismo di tanti scrupolosi compagni e a una crisi, personale e creativa, che durò diversi anni. Ma non voglio fare la vittima. Intanto, io stesso, credo, dovetti inconsciamente interiorizzare la condanna e ritenni doveroso e salutare togliere il disturbo e sparire, per un po’. Ma, come che fosse, quella fu l’occasione per rivedere molte cose del mio lavoro e di me stesso. Intanto, da tempo ero insoddisfatto di ciò che facevo e questo poteva spiegare perché, negli ultimi anni, io avessi realizzato così poco. Mi stavo distaccando da quel modello di arte e ecco che, adesso, mi distaccavo dalla realtà di un mondo che, politicamente, pareva offrire la tutela morale di quell’arte. E così, pian piano, ritornai ai classici – a Leonardo, a Michelangelo, a Pontormo. E ripresi i contatti con Cagli e con De Chirico, che, ora, avevano di fronte un uomo con le sue scelte, una persona che aveva trovato le sue motivazioni e adesso, come avviene a ogni artista, ne cercava di nuove. La conoscenza di Lucio- Lombardo-Radice – origini siciliane anche le sue, a proposito – mi schiuse un mondo di cui non sospettavo razionalmente l’esistenza, ma che apparteneva a quel fondale onirico che, ora, veniva scosso con forza dalle vicende che vivevo. Un libro di scienze e tecnica, consigliatomi da Lombardo-Radice, acquistato alla libreria Paravia, Nuovi principi delle geometrie non-euclidee, con l’introduzione dello stesso Lombardo-Radice, mi fornì lo spunto per una revisione completa delle mie concezioni estetiche. Il libro era una sorta di ricognizione, di delineazione esplicativa delle geometrie non-euclidee. Fu la scoperta di un mondo davvero nuovo, come non poteva realizzarlo la politica: Lombardo-Radice, comunista a tutta prova, fra l’altro, benché da uomo libero da ogni vincolo di Partito, mi permise di comprendere meglio argomenti per cui non avevo alcuna preparazione e Cagli e De Chirico – Cagli, soprattutto – mi diedero spunti e indicazioni per tradurre in pittura quei concetti di una logica lontana dalla nostra esperienza. Alla fine, non parlerei neanche di una svolta; certo, c’era stata una frattura, ma solo perché permetteva di sviluppare su un piano di maggiore forza e coerenza le premesse che avevano accompagnato il lavoro precedente. Nelle opere successive alla mia scoperta di uno spazio non-cuclideo, non è negata la figuratività, non è abolito il legame con la realtà, che è divenuta più complessa e che io ritrovo, ad esempio, intatta e intangibile solo nell’arte dei nostri classici, così come loro l’hanno fissata e da cui io posso ripartire, perché in loro c’è lo stesso spirito di ricerca cui ho dato risposta a modo mio. La Battaglia di San Francesco a Ripa, per esempio; un esempio non di citazionismo, di riappropriazione più o meno indebita, ma una immersione negli spazi scaturiti dalla forma che svolge il movimento dentro piani a più incroci, snodi fra cui s’incastra il tempo, la durata che l’azione in cui i corpi sono protesi esige come un complemento indispensabile della loro condizione di corpi, della loro struttura materiale. È così per i nostri grandi del Rinascimento, da Masaccio e Botticelli a Michelangelo e Tintoretto. Per me, non si tratta più di rinunciare alla figurazione: la via d’accesso è stata aperta o dispiegata nella sua pienezza, vorrei dire, cosmica. Figuratività senza realismo; realismo non-figurativo. Definiamolo come vogliamo, ma io farei a meno delle definizioni. Faccio solo notare che lo spazio, ora, viene ampliato e messo in moto non dalla prospettiva rinascimentale, che si svolge nello spazio tridimensionale, ma in uno spazio del corpo sferico a enne-dimensioni. La profondità non mette in relazione piani, ma parti del corpo perché è anch’essa spaziale, in cui convergono dimensioni e non, appunto, semplici livelli o distanze parte della trama spaziale, in cui convergono dimensioni e non, appunto, semplici livelli o distanze; che così, invece, posso trattare come corpi, parti di uno stesso organismo funzionale, di uno stesso moto di esistenza e di conoscenza – un moto che, infine, è quello dello strumento della pittura che segna i confini o lo sconfinamento, il flusso e la confluenza delle dimensioni. Ma questo, non a caso, significa che la definizione che posso dare del mio lavoro è sempre un’approssimazione per difetto di conoscenza a un universo più vasto, cui ci può guidare il percorso che l’arte del passato ha già tracciato. E’ per questo che non voglio definire io la mia pittura, non sono un critico abilitato a parlare neanche di me stesso. Dopo aver maturato nuove convinzioni sul da fare, frequentai la galleria Ca’ d’oro, dove, più tardi, esposi le opere di questa mia nuova direzione di ricerca. Purtroppo, in poco tempo, vennero a mancare le persone che mi erano state vicine e avevano seguito la mia evoluzione: muoiono De Chirico, Cagli, Lombardo-Radice. Ho impugnato il ‘testimone’ che mi hanno consegnato e da allora, nulla, poi, mi ha distolto da ciò che ho acquisito con tanta determinazione. Quel che è avvenuto da allora, pertanto, è la vicenda di un artista rimasto fedele a quello che ha saputo costruire e con lo stesso spirito, vuole continuare a realizzare e a lavorare senza sottostare ai condizionamenti imposti dalle mistificazioni che scorge intorno a sé.
SALVATORE PROVINO note biografiche
Nato a Bagheria (Palermo) il 4 Giugno 1943, giovanissimo si trasferisce a Roma dove frequenta lo studio del suo concittadino Renato Guttuso. Nel 1964, a soli 21 anni, la Galleria Consorti di Roma gli organizza la sua prima Mostra personale che rievoca i luoghi della sua infanzia. I luoghi natali, i volti dei contadini scavati dalle rughe del tempo e dal duro lavoro, la campagna con i colori del dramma e della tragedia che rimanda alla Cultura greca antica, influenzano profondamente la sua formazione artistica. Alla fine degli anni ‘60 la sua Pittura si avvicina alla sensibilità di quella inglese e in particolare di Francis Bacon. Si tratta del periodo figurativo in cui l’Artista risente anche di influenze Sironiane e predilige soggetti che affrontano attraverso la drammaticità della figura umana le difficili condizioni esistenziali di un’intera classe sociale alle prese con gli effetti del processo di industrializzazione e di sfruttamento dell’uomo. Nel 1974 l’Artista, a seguito di ripetuti incontri con il matematico-filosofo Lucio Lombardo Radice, attinge alla teoria di Lobacevskij circa la sfericità del corpo e la geometria intesa come struttura dello spazio fisico. La geometria diviene sferica, le strutture sembrano levitare, le forme dinamiche, in una ricerca concettuale dove la matematica assomiglia sempre di più all’Arte per l’essenza intuitiva e creativa come origine di ogni percorso teorico ed empirico. Nel 1979 un viaggio in Perù porta Provino a vivere nella sua Pittura una straordinaria dialettica tra le geometrie e la filosofia, tra il visibile e l’invisibile. Si inaugura dunque quello che può essere considerato a tutti gli effetti il periodo della piena maturità dove la Pittura fatta di materia e colore diviene lo strumento principe per sviscerare quella ricerca espressiva di un mondo dinamico e infinito, attraverso la maniacalità dell’esecuzione pittorica e la gestualità del segno trova la strada per interpretare quello che lo spazio fisico della tela non consentirebbe. Nel 1986 è chiamato per chiara fama alla Cattedra di Pittura dell’Accademia di Belle Arti di Palermo, per poi passare all’Università di Napoli. A partire dagli anni ‘90 si succedono Mostre personali in importanti spazi pubblici nazionali alternate da prestigiose esposizioni di caratura internazionale: tanto per citarne alcune Il Palazzo dei Diamanti di Ferrara, il Palazzo delle Esposizioni di Roma, Castel dell’Ovo a Napoli, Cervia ai Magazzini del Sale. Nel 2002 espone come primo Artista occidentale nel Museo Nazionale di Storia Cinese a Pechino e successivamente nei Musei più importanti delle città di Shenzhen, Shenyang, Canton, Shanghai, Hong Kong e Changshu. Inizia così una decade di Mostre internazionali che lo porteranno dalla Grecia agli Stati Uniti e dalla Bulgaria all’Argentina tornando periodicamente ad esporre nella sua Sicilia.
SALVATORE PROVINO mostre personali
1964
Galleria Consorti di Roma
1966
Galleria Il Girasole di Roma
1967
Galleria Il Vertice di Roma
Galleria L’Incontro di Palermo
Galleria Sud-Sudest di Ragusa
1968
Galleria Leyla Tohdemir Khalil di Tripoli
1969
San Lorenzo Roma
Galleria La Bussola di Bari
1970
Galleria Ciovasso di Milano
Galleria il Nibbio di Bagheria
1971
Galleria Molino di Roma
Galleria La Vernice di Reggio Calabria
Galleria Valguarnera di Bagheria
1972
Galleria Ciovasso di Milano
Galleria Il Nibbio di Bagheria
Galleria La Nuova Pesa di Roma
Galleria G4 di Teramo
1973
Ritmo della Città Galleria Schettini di Napoli
1974
Galleria Cà d’Oro di Roma
1975
Galleria Il Giornale di Roma
Galleria Numero di Fiamma di Vigo Venezia
Galleria Giorgi di Firenze
Galleria La Margherita di Porto Potenza Picena
1976
Galleria Maitani di Orvieto
Galleria In Primo Piano di Taranto
Galleria Numero Uno di Rieti
Galleria La Robinia di Palermo
1977
Galleria Arcaini di Cortona
Galleria Nuovo Carpine di Roma
1978
Galleria Il Poliedro di Bagheria
Galleria Comunale d’Arte Contemporanea Palazzo Guillichini di Arezzo
1979
Palazzo dei Diamanti Ferrara
Galleria Quartirolo di Bologna
Palazzo dei Papi di Orvieto
1980
Galleria Cà d’Oro di Roma
Galleria Carte Segrete di Roma
Galleria La Tavolozza di Palermo
Galleria Arte Club di Catania
Galleria Internazionale Fontana Arte di Spoleto
1981
Galleria Il Messaggero di Reggio Calabria
Galleria La Margherita di Porto Potenza Picena
1982
Galleria La Colomba di Latina
1984
Galleria La Gradiva di Roma
1985
Galleria MR di Roma
1986
Galleria La Chiocciola di Padova
Galleria Art Atrium di Stoccolma
1987
Galleria Irmtraud Ann-Thiel di Boston
Art Jonction International di Nizza
1988
Galleria Artecontemporanea di Bagheria
1989
Meeting Art di Vercelli
Palazzo Netti di Orvieto
Opere 1979-1989 Complesso Monumentale San Michele a Ripa di Roma
1990
Galleria Ashkenazy Galleries di Los Angeles
Pinacoteca e Musei Comunali di Macerata
1991
Opere dal 1963-1991 Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea di Bagheria
Terra Palazzo delle Esposizioni di Roma
Studio 71 di Palermo
1995
Meeting Art di Vercelli
Galleria Marano di Cosenza
1996
Galleria Ashkenazy Galleries di Los Angeles
1997
Galleria Merano di Cosenza
Galleria Grassi di Salerno
1998
Galleria Comunale di Morlupo
Anatomia sul corpo della pittura Galleria Cà d’Oro di Roma
Galleria Irmtraud Ann-Thiel di Boston
2000
Centro culturale italiano di Bruxelles
Spazio Multimediale Rotunda di Seul
Palermo. Superfici gassose. Galleria Studio 71
2001
Fuochi ed altre folgori Palazzo dei Normanni di Palermo
Istituto Italiano di Cultura di Salonicco
2002
Asalo Golf Club di Cavaso del Tomba
Casa di Gaia Da Camino di Portobuffolé
Sussurri/Fragori Palazzo del Senato Archivio di Stato di Milano
Palazzo dell’Università di Shenyang
Museo Nazionale della Storia Cinese di Pechino
Opere 1978-2002 Castello Ursino di Catania
2003
Museo Palazzetto dell’Arte di Foggia
Palazzo Duci di Santo Stefano di Taormina
Sedimenti della materia Castel dell’Ovo di Napoli
Galleria Sredets di Sofia
2004
Galleria Sante Moretto Arte Contemporanea di Monticello Conte Otto
Galleria Artemix di Madrid
Sedimenti della materia Magazzini del sale di Cervia
Galleria d’Arte Civica di Varna
Galleria d’Arte Civica di Plovdin
Galleria d’Arte del Museo Storico di Botevgrad
Galleria d’Arte Civica di Russe
Galleria d’arte Vladimir Dimitrov di Chiustendil
Galleria d’arte Ilia Bescecov di Pleven
Galleria Sredets di Sofia
2005
Guandong Museum of modern Art di Guangzhou
He Xiangning Art museum Vestiges of space di Shenzhen
Fiera Contemporanea Collaterale di Forlì
2006
Galleria Dlum di Maribor
Changshu Museum Arts di Changshu
Stratificazioni. Museo Campano di Capua
Sedimentazione – natura. Centro sociale Ex Case Sanfilippo di Trabia
2007
Fuga dallo sguardo Castel dell’Ovo di Napoli
Geometrias del alma Centro Cultural Borges di Buenos Aires
Fuga dallo sguardo Galleria Michelangelo di Roma
2008
La fenice della Pittura Galleria Michelangelo di Civitavecchia
2010
Natura e materia. Museo civico U. Mastroianni di Marino
Pittoriche anatomie luce e spazio Galleria d’Arte contemporanea Lucia Messina di Crotone
Verticalità Galleria Brucastudio di Catania
2011
Terra crisalide anni luce fa. Galleria Mercurio Arte di Palermo
Opera incisa l’Evoluzione del segno Stamperia del Tevere di Roma
Attraversando la vita AR(t)CEVIA International Art Festival 2011 di Arcevia
2012
Effetti Collaterali. Provincia Regionale di Palermo Palazzo Sant’Elia di Palermo
2013
Attraversando la natura Museum Gedung Arsip Nasional di Jakarta
2022
L’Oltre Galleria Atlante a Roma a cura di Francesco Ruggiero
SALVATORE PROVINO mostre collettive
1964
Galleria Il Girasole di Roma
1965
Rassegna di Arti Figurative di Roma e Lazio Roma
Premio Revere di Mantova
1966
Rassegne Prospettive Uno di Roma
1968
Rassegna di Arti Plastiche e Figurative di Bagheria
1972
III Biennale d’Arte di Celano
1973
Rassegna Aspetti dell’Arte Contemporanea in Italia di Firenze
Premio Vasto di Chieti
1974
Rassegna Incontri Silani
1975
Galleria Alzaia di Roma
Rassegna Via Condotti di Roma
1976
Expò 1ª Edizione di Bari
Rassegna Il Sacro nell’Arte Palazzo Arcivescovile di Palermo
1977
XX Biennale Premio Alatri Palazzo Gentili
1978
II Triennale Europea di Celano
1979
Rassegna di Pittura Palazzo comunale di Acireale
Rassegna di Sculture Lignee di San Gemini
Rassegna Omaggio alla Sicilia di Acireale
1982
Mostra Nazionale di Pittura di Perugia
1985
Rassegna Circumnavigazione Due Galleria Ezio Pagano di Bagheria, Catania, Gibellina
L’Isola e Il Segno di Assisi
1986
XIII Rassegna Nazionale di Pittura di Sulmona
Triennale Europea di Arte Sacra Castello Trecentesco di Aquila
Biennale Nazionale di Arte Sacra di Pescara
Rassegna Art Jonction International di Nizza
1987
Premio Nazionale di Arte Contemporanea di Campobello di Mazara
IV Biennale Internazionale di Varna
Arte Fiera Konstmassan di Stoccolma
Rassegna Circumnavigazione Galleria Ezio Pagano di Bagheria
I Premio Le Città della Magna Grecia di Sibari
1988
Rassegna Nazionale di Arte Contemporanea Tota Pulchra di Palermo
Rassegna Ibla Mediterranea
Rassegna di Scultura e Pittura di Modica nell’Area Mediterranea di Catania
Premio Fimis ‘88
Arte contro L’AIDS di Roma
1989
Rassegna Presenze Siciliane Complesso Monumentale San Michele a Ripa di Roma
Biennale di Milano
XVII Premio Sulmona di Sulmona
I Rassegna d’Arte di Santa Flavia
1990
Art Solidarity di Roma
Oggi Memoria d’Arte di Celano
1991
Sicilia Mito e Realtà Museo Pepoli di Trapani
Rassegna Arte Roma ‘91 Palazzo dei Congressi di Roma
Galleria Civica Arte Contemporanea di Termoli
Rassegna Art Solidarity di Roma
Rassegna Lux Mundi Albergo delle Povere di Palermo
Rassegna di Arte Sacra di Siracusa
XXXVI Rassegna Galleria Civica di Termoli
1992
Meeting Art di Vercelli
Arteroma di Roma
1993
Arteroma
I Rassegna d’Arte di Santa Flavia
Circuiti d’Acqua Palazzo dei Militari di Erice
1995
Versanti dell’Arte Italiana II Novecento di Civitella Roveto
1997
La Questione Siciliana di Catania
Ibla Mediterranea di Modica
Il Girasole Trent’anni dopo di Seravezza
1998
Mostra L’Isola Dipinta Palazzo Vittoriano di Roma
Palazzo comunale di Morlupo
1999
Ave Crux Rassegna Nazionale di Arte Contemporanea di Tindari
2000
Sicilie ile de beautè di Coutances
2001
100 Artisti rispondono al PAPA. Museo Stauròs di Teramo
Guangdong Museum of Art di Canton
Settant’anni di carte italiane Palazzo Belle Arti di Dalian di Pechino
Istituto Italiano di Cultura di Buenos Aires Trazos para una memoria Incontro della pittura italiana contemporanea
2002
Generazioni Galleria Beleyevo di Mosca
Premio Bargellini
Galleria Michelangelo
Diez Años di Roma de Gráfica Italiana di Buenos Aires
2004
70 anni di carte italiane Galleria Wloskiego Galleria Krzystofory di Krakowia
La galleria Maitani 1967-1989 Galleria Zerotre di Orvieto
Le ombre dei Maestri Metropolitana di Roma
2005
Percorsi etici Galleria d’arte moderna e centro culturale Le Ciminiere di Catania
Da Balla a Scialoja. Mostra itinerante nelle Gallerie Civiche di Varna, Russe, Plovdiv
Galleria Civica Ilia Beshkov di Pleven
Sala espositiva Varosha di Lovech
Unione dei Pittori bulgari di Sofia
Arte senza confini Museo Civico d’Arte contemporanea di Albissola Marina
La notte bianca Imago verba-Visioni e poetiche contemporanee Galleria Tartaglia di Roma Arte
Di sguardi, luoghi. Di ombre Galleria Ellediarte di Palermo
Fiera Contemporanea di Forlì
Matrice primaria Galleria Michelangelo di Roma
Jacob’s ladder southern alleghenies museum VI international biennal regional artists sacred art di Loretto
Grandi meditazioni per un piccolo formato Galleria Roma di Ortigia
2006
Rassegna d’arte contemporanea L’arte di amare l’arte Galleria Orsini di Roma
2007
Primaverile A.R.G.A.M. Museo Venanzio Crocetti di Roma
2008
Centro d’Arte Mercurio di Rapallo
2009
V edizione ARTE di Agrigento
2010
I Triennale dell’astrattismo e del surreale di Roma
Quattro rotte d’autore Palazzo Chigi di Formello
III edizione ArtCevia International Art Festival di Arcevia
Premio internazionale Limen Art di Vibo Valentia
Novecento sacro in Sicilia di Palermo
2011
Made in Sicily Museo Le Ciminiere di Catania
Il Bosco d’Amore omaggio a Renato Guttuso Palazzo Valle Fondazione Puglisi Cosentino di Catania
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