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Crimine Infinito Barbarossa e Benelli in Calabria

COMUNICATO STAMPA CRIMINE INFINITO di Cristiano Barbarossa e Fulvio Benelli (per Fandango Libri) è un romanzo – bello e soprattutto appassionante – che si ispira liberamente a una grande storia processuale realmente accaduta in questo nostro Paese tra il primo e il secondo decennio del terzo millennio. Il richiamo alla storia vera è già nel titolo: CRIMINE INFINITO, dal nome di due processi – il primo istruito e celebrato a Reggio Calabria, il secondo a Milano – che hanno fatto la storia della lotta alla mafia calabrese e hanno svelato al mondo la ‘ndrangheta, l’organizzazione criminale più pericolosa, ricca e ramificata, italiana e transnazionale, diffusa (unica nel suo genere) in tutti i cinque continenti. Con un avvenimento sanguinoso, nel cuore dell’Europa, che ha traumatizzato la Germania costringendo l’autorità politica e di polizia a prendere atto di un fenomeno che da decenni inquinava l’economia tedesca: la strage di Ferragosto, a Duisburg, con sei cadaveri lasciati per strada per vendetta tra clan in perenne conflitto. Un momento di potenza criminale che segna anche l’inizio della risposta dello Stato che, dopo Duisburg ha finalmente messo la ‘ndrangheta nel mirino delle politiche anticrimine fino a ricomprendere la mafia calabrese nelle previsioni del 416/bis, l’associazione a delinquere di stampo mafiosa, che per mafia e camorra è in vigore dal 1982 e per la ‘ndrangheta solo dopo il 2010.
Il romanzo prende liberamente spunto da queste vicende processuali per raccontare uomini e donne in diversi modi coinvolti nella storia vera e negli sviluppi romanzati.
Crimine Infinito è la rappresentazione della perenne lotta tra il bene e il male, dove la tenacia e il sacrificio di un manipolo di uomini e donne, a un tratto definiti “bastardi senza gloria”, porta misteriosamente e miracolosamente il bene a vincere, pur senza trionfare.
Perché l’Infinito del titolo ha in sé l’ineluttabilità del ricominciare e perché, come ci illumina uno dei protagonisti della complicata vicenda, il male sa fare bene il male, mentre il bene purtroppo fa male il bene.
Crimine Infinito è, dunque, storia vera di questo nostro Paese sempre in bilico tra Stato e Antistato, dove criminali, malavitosi, mafiosi trovano e ottengono compiacenti complicità negli uomini dello Stato e negli insospettabili “colletti bianchi”, per vigliaccheria, debolezza, paura, attitudine alla sottomissione, vizio, convenienze, brama di potere politico e di ricchezza facile e abbondante, ma anche per strutturali connivenze e convenienze istituzionali che pongono criminale e pubblici amministratori, cinici e spregiudicati, a reciproco servizio.
E chi meglio della ‘ndrangheta che si è sempre posta come sgabello della più celebre e potente, almeno fino agli anni ’90 del secolo scorso, Cosa Nostra siciliana, sfruttando silenziosamente le favorevoli distrazioni dell’attenzione mediatica conseguenti alla repressione delle pratiche stragiste di Totò Riina, sfociate negli attentati a Falcone e Borsellino. Perché il fine ultimo è fare affari, accreditandosi come organizzazione affidabile, meno permeabile al tradimento e al pentitismo.
Grazie anche a una struttura organizzativa quasi impenetrabile, che trova nella famiglia, che è allo stesso tempo di mafia e di sangue, il suo momento di sintesi e punto di forza.
La coazione a ripetere segna tutta la vicenda storica, politica e istituzionale dello Stato unitario, che proprio quest’anno celebra i 160 anni. Parlarne, anche sotto forma di romanzo e, magari successivamente, di fiction televisiva e cinematografica, diventa operazione pedagogica e di comunicazione su vasta scala e in definitiva atto d’amore degli autori per questa nostra Italia.
Sul palcoscenico del romanzo si muovono personaggi di fantasia, con nomi di fantasia, seppure ispirati a uomini e donne in carne e ossa che hanno percorso, da protagonisti o da comprimari, le vicende autentiche.
Troviamo i giudici che hanno dominato le cronache giudiziarie come Ilda Boccassini, la “tigre rossa” di mille inchieste tra Lombardia e Sicilia, come procuratore aggiunto a Milano, e Giuseppe Pignatone, che prima di approdare a Roma arriva a Reggio Calabria con la fama del magistrato che ha finalmente catturato Bernardo Provenzano.
Oggi, entrambi sono ormai usciti dai ruoli della magistratura italiana per pensionamento.
Con il suo vero nome, invece, troviamo Nicola Gratteri che ancora opera contro la ‘ndrangheta dagli uffici della procura della repubblica di Catanzaro.
Così come i Mura della finzione ci riportano ai boss di primo livello della criminalità calabrese dei Pelle, degli Strangio, dei Vollaro, mentre le località in cui operano sono tragicamente quelle della realtà: San Luca, Piatì, la Montagna del Santuario della Madonna di Polsi, dove il Crimine governa il mondo malavitoso calabrese.
Ci piace leggere questo libro di Barbarossa e Benelli come romanzo della vita, viaggio nell’anima e nella coscienza delle persone che si pongono il quesito di fondo che permea sin dalle prime battute questa opera: quanto vale l’anima di un uomo?
È la domanda angosciante di valore dell’esistenza sempre al bivio della scelta senza ritorno. In quei contesti, la scelta sbagliata è la morte o il carcere a vita.
Se la pongono, quella domanda, i “buoni”, come il colonnello Ricci anche davanti alle umanissime richieste di maternità della moglie Amalia.
E se la pone, tormentato dallo stesso incubo che popola le sue notti fin dall’infanzia, il “cattivo” che non sospetti, quell’Antonio Delvento – identità della finzione romanzata – che farà la vera e determinante scelta di riscatto e redenzione personale.
Barbarossa e Benelli ci consegnano un libro di quasi 600 pagine, frutto di un lavoro durato sette anni, tra il 2014 e i nostri giorni, nel quale si trovano tracce di migliaia e migliaia di pagine di atti giudiziari, di inchieste giudiziarie e giornalistiche, di intercettazioni telefoniche (25 mila ore) e ambientali (20 mila ore), incontri, viaggi in Italia, tra la Calabria e la Lombardia e il Nord Italia asserviti alle trame criminali di contadini apparentemente inoffensivi, in realtà spietati e sanguinari, quando strettamente necessario.
Perché, come ha osservato Enzo Ciconte, studioso di cose calabresi e meridionali, per la ‘Ndrangheta, “la violenza è come il capitale di investimento che si usa all’inizio senza che ci sia bisogno di farvi ricorso successivamente”.
Il romanzo è popolato di insospettabili avvocati e commercialisti, funzionari pubblici, giudici deboli e viziosi oppure semplicemente smarriti, medici compiacenti, carabinieri collusi.
E via col campionario delle umane debolezze per alimentare una organizzazione che spregiudicatamente manovra la vita e la salute dell’umanità, coi traffici di droga, di armi, l’inquinamento ambientale e delle imprese, la sottomissione con il caporalato più spietato dei derelitti immigrati nelle campagne meridionali.
Una piovra che protende i suoi tentacoli in Africa, in America Latina, in Australia, tutte aree rappresentate nelle pagine del nostro romanzo, articolato in quattro parti, ciascuna delle quali suddivisa in otto capitoli. Più un’appendice che riporta i personaggi principali a sette anni dopo, fino ai giorni nostri, il cuore delle vicende e la condizione e attuale delle persone.
Che seguiamo attraverso passaggi di scena e di interpreti rapidi, adrenalitici, che catturano l’attenzione e come nei migliori noir, incalzano il lettore in una corsa alla pagina, al capitolo, alla parte successive. Grazie anche a una scrittura scorrevole, piacevole, intrigante.
All’inizio il lettore cerca il personaggio storico, strada facendo è la finzione che diventa realtà. E alla fine 600 pagine sembrano anche poche.

Pierluigi Visci

Un pensiero su “Crimine Infinito Barbarossa e Benelli in Calabria

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