GIANPAOLO BERTO La Misura del Tempo Galleria Antigallery Roma
COMUNICATO STAMPA → Curata da Francesco Ruggiero si inaugura a Roma la Mostra personale di Gianpaolo Berto dal titolo La Misura del Tempo per ricordare Schifano Angeli Festa, allestita negli spazi della Galleria Antigallery in Via degli Zingari 3. La Mostra, arricchita dai testi di Giuseppe D’Orazio e Sergio Garbato, si inaugura venerdì 8 dicembre 2017 con il Concerto di musiche liriche eseguite da Salvina Maesano. L’Esposizione sarà visitabile tutti i giorni dalle 19.00 alle 24.00 fino a lunedì 8 gennaio 2018. Scrive Sergio Garbato citando una frase dell’Artista … In realtà, non sono mai andato via veramente dal Polesine. Certo, vivo a Roma da oltre cinquant’anni, ormai, ma sempre più spesso ho la sensazione di stare in una periferia lontana del Polesine: chi arriva da Rovigo é costretto ad imboccare la via Salaria e io, appunto, abito qui. E come se il Polesine fosse l’orto di casa mia, pieno di fascino e verità. Vista da Roma, la terra in cui sono nato ritrova tutta la sua magia, sfumata dalle nebbie e inzuppata di acque misteriose. II Polesine e Venezia si possono immaginare e dipingere solo da lontano, come se fossero un sogno ricorrente. Così Gian Paolo Berto, nato adriese, Artista dal respiro profondo e naturale, che era passato per il Polesine come una meteora, per poi approdare a Roma. L’esordio risale a un giorno lontano del 1956, in cui il poeta rodigino Livio Rizzi aveva aperto le porte della prestigiosa ed esclusiva Piccola Galleria del Polesine alla prima mostra personale di un pittore appena sedicenne, che pero era già un artista vero, con storie di malattia alle spalle, conflitti familiari, notti insonni e frustrazioni, capace di trasformare tutto in pittura come una specie di re Mida. Gianpaolo Berto, appunto. La sua era una musa tragica, che si traduceva in volti espressionisti che illividivano verdastri su fondi scurissimi. E in quelle tele tormentate l’anima si traduceva in un dolore che sapeva essere cosmico. Tra i diciassette e i venti anni, Berto aveva dipinto almeno un paio di quelle opere, che, al di là dell’occasione e del luogo, restano nel tempo e subito entrano nell’immaginario: I consunti e un drammatico Cristo. Dove trovasse tanta sofferenza e tanta forza espressiva un ragazzo di quell’età é ancora un mistero. Certo é che quelle opere, viste con l’occhio ingordo e disincantato di oggi, non hanno perso neanche un grammo della loro forza e del loro fascino, che aveva lasciato letteralmente stupefatti maestri come Tono Zancanaro e Carlo Levi, che avrebbe voluto portarselo subito a Roma. E, in effetti, a Roma Berto ci andò veramente, appena qualche anno dopo, e ci rimase dipingendo un’infinità di quadri (talmente numerosi che se ne può dar conto solo in modo approssimativo), diventando un maestro dell’incisione e della grafica, talmente esperto e sottile come stampatore, che Guttuso e De Chirico, per dire dei maggiori, lo prediligevano più di qualsiasi altro. Fatica improba, allora, e soprattutto vana quella di costringere un artista come Berto entro i limiti di un’etichetta o di poche e supreme opere. Il fatto é che per Berto il tempo é caratterizzato da un borgesiano andamento circolare, il che vuol dire che un’opera non é mai finita, o meglio non sono mai finite le implicazioni che essa porta con sé. Non soltanto l’Artista ne fornisce una serie di versioni diverse, quasi volesse saggiare e spezzare la resistenza del soggetto, ma continua, a fasi alterne e a distanza di anni, a tornarci sopra, caricando il primo segno del peso di tutti quelli che sono venuti dopo e di una favolosa stratificazione cromatica. Non appare, perciò, strano che, per qualche decennio, Berto abbia incominciato o concluso la sua giornata disegnando un ritrattino di J.B., sempre uguale a se stesso, come un monogramma, ma anche un modo di far incespicare la punta della matita sul foglio. E non stupisce più di tanto che abbia promesso a un vecchio amico, in ricordo di una collaborazione antica che non c’era stata, una serie di illustrazioni per poesie che questi non ha ancora scritto e probabilmente non scriverà mai. Il filo del tempo, per Berto, non é diverso da quello di una matassa che diventa gomitolo. Ogni Mostra diventa, allora, il sogno di un ritorno al paesaggio delle origini, mentre le opere si accavallano e si accalcano intorno a se stesse, in un continuo andare e venire e articolarsi per temi, per subito fuggire in altre direzioni e ricominciare daccapo, con Alessandro, autometafora infantile dell’artista, e Carlo Levi, trasformato in contradditorio prototipo paterno, che spiano o si affacciano da un quadro all’altro, con composizioni che riflettono sulla natura eterogenea della mercificazione per riscattarla in assemblaggi che ripescano tutto quanto viene disperso o perduto. … Vorrei fare un Museo che raccogliesse tutto quello che si scarta … dice Gianpaolo Berto. Le Opere proposte somatizzano la riorganizzazione, ma anche la trasfigurazione, dell’immagine in composizioni che esaltano il volto e il corpo della donna, la sostanza delle cose e l’autenticità dei segnali, il sogno e il colore, la poesia e la materia, trasformando l’Artista nel Maestro di una metamorfosi ininterrotta. Non una nota critica ma un umore, aggiunge Giuseppe D’Orazio in La misura del tempo nell’Opera generale di Gianpaolo Berto … Affibbiato a un paesaggio mentale di grazia smaltata e ritagli di sete riposa dalla fatica che il colore gli assesta, posto alla luce sopraggiunta piano di un alba, coi nervi incendiati da innumerevoli veglie, con ciò che rimane stabilmente remoto, principiato a raccontare il farsi di una tela scorticata abbagliando una lontana città, nel nome del tempo di Plank: un segmento naturale di tempo, incollato alla volizione dell’Artista-artefice già compromesso dalla radice elettromagnetica, reazionaria, costituzionale della gravità. Cola quieta volontà negli smalti crudi con membra venate vestite di lana su un volto familiare, appena imbellettato di segni, una figura disegnata appare intorpidita mentre opera sul solco della grafite accovacciando colore, lo studio è una fornace accalorata, guardo le ceramiche chiare, eppure polverose, ammesse alla penombra dei gigli nei vasi, una stanza dai fondali di fosforo, piccola, ma tutto mi pare profondissimo. Un divano coperto setaccia il sonno intermittente di Gianpaolo Berto, accampato fra colonne di libri e ritagli plastificati di cronaca. L’Artista-artefice, che ne sia cosciente o meno, è un organo fattuale della realtà, reo di manipolazioni di un meno noto dato immateriale, il quale, di volta in volta, attraverso aggregati atomici, si disfa e si fa, ciclicamente, cosa materiata. Una cosa che, tuttavia, in un dato momento storico, e quindi culturale, può essere riconosciuta dotata di valore, secondo un consesso di specialisti. Fare una cosa equivale implicitamente a fissare un moto. E un moto è un atto costituito da una durata. L’artista-artefice fissa il moto in una durata permanente, un moto divenuto infinito attraverso una materia resa simbolicamente irriducibile da un’immaginazione operativa. Una simbolizzazione della materia finalizzata, nella sostanza, a rinnovarla rendendola partecipe della soggettività del manipolatore, infondendole una passeggera identità. Si potrebbe ipotizzare che la materia ottiene un carattere inedito, accantona la cieca commistione al destino della sua inevitabile consunzione-consumazione, e subentra e condivide, influenzandolo, il destino culturale della comunità. L’oggetto viene traslato in un elemento culturale che oggi reclama, e reclamerà, esclusive e imprevedibili direzioni. Quello che vedo quando vedo Angeli, Schifano, Festa. Velocità della luce nel vuoto. Cosa voglio dire: il pensare stimola e mobilita le forze fino alla compromissione dell’assetto della materia, cioè governa la forma della materia, ovvero il vuoto. La velocità è l’essere psichico dell’artista-artefice. La psiche è tempo. Quello che vedo quando vedo Angeli, Schifano, Festa, sono degli indizi.
GIANPAOLO BERTO Nota biografica
Gianpaolo Berto é nato ad Adria (Rovigo) il 26 novembre 1940. Ha iniziato a dipingere come autodidatta in giovanissima età e a soli sedici anni ha tenuto la sua prima mostra nella Piccola galleria del Polesine a Rovigo. In quella occasione, Tono Zancanaro e Carlo Levi apprezzano le opere del giovane artista. E poco più tardi sarà proprio Levi, riferimento imprescindibile e costante, ad accogliere Berto nel suo studio romano stabilendo con lui un rapporto profondo durato tutta la vita. Zancanaro, dal canto suo, introdurrà il giovane nel mondo della grafica, sollecitandolo a una … poetica di intrecci, contaminazioni, velature, segni che rimandano da un archetipo all’altro e da un’intuizione all’altra, in un processo di conoscenza. A Roma, Berto intreccia rapporti con i maggiori artisti del tempo, da Renato Guttuso e Giorgio De Chirico a Ugo Attardi, Enotrio Pugliese, Pino Reggiani, Anna Salvatore, Marino Mazzacurati, Nato Frasca. Ma sono altrettanto importanti nella sua formazione gli incontri e i rapporti con personaggi come Braibanti e Pasolini e soprattutto Berenice, Jolena Baldini. I Critici più attenti riconoscono che nell’Opera di Berto, nonostante le molteplici frequentazioni di Artisti dalla formazione, cultura, linguaggio, tradizione e forme espressive diverse, rimangono immutate le sue peculiarità pittoriche e la sua innata polesanità. A partire dagli anni Sessanta a tutt’oggi, Berto ha tenuto numerosissime Mostre in Gallerie private e pubbliche, in Italia e all’estero, invitato a importanti manifestazioni internazionali di grafica e pittura. Fondamentale nella vita e nell’Opera di Berto é l’attività didattica, che intende come mutuo scambio tra maestro e allievo. Per quarant’anni ha insegnato Tecnica dell’Incisione all’Accademia di Belle Arti di Roma, continuando a seguire e migliorare il percorso artistico dei suoi Allievi anche dopo il diploma. Fra le Opere illustrate ricordiamo Pinocchio, I promessi sposi e L’Isola del Tesoro.
GIANPAOLO BERTO Opere in Mostra